Il Messico coloniale
Dopo aver sconfitto gli aztechi, i conquistadores consegnarono il popolo indigeno in mano agli “encomenderos” spagnoli (figure simili ai feudatari, l’encomendero era il capo di una parte di un’istituzione vicereale chiamata encomienda. L’encomendero aveva il compito di proteggere e convertire la popolazione al cristianesimo, riscotendo in cambio una tassa).
Le spedizioni spagnole interessarono Oaxaca, Chiapas e Yucatàn e si spinsero fino al Gran Chichimec, oltre i territori di Aztec e Tarascan e Zacatecas coinvolgendo tutta la Mesoamerica. Motivati dalla conquista spirituale, oltre dalle conquiste militari dei territori e dai preziosi bottini, i frati francescani e domenicani ebbero una frenetica attività pastorale, convertendo e battezzando a forza gli indios.
Gli spagnoli, oltre a sottomettere gli indigeni, portarono anche alcune malattie europee tra cui il vaiolo, che contagiò e uccise migliaia di persone.
I ricchi spagnoli che si stabilirono in Messico, nel XVII secolo, istituirono le haciendas, le tipiche fattorie messicane, e venivano coltivate in base al clima e al tipo di terreno, alcune mais frumento, canna da zucchero altre bestiame mentre in quelle nelle zone montane c’erano spesso le cave d’argento.
Il potere era rappresentato dal Vicerè che esercitava il controllo sulle istituzioni e sugli indigeni che potevano comunque godere di uno statuto di semi-indipendenza.
La fusione delle etnie indiane con quelle spagnole creò alcune caste intermedie.
Lo sviluppo economico coloniale creò un’èlite creola nativa del Messico, fiera della propria patria, gli indios, che erano aumentati nuovamente di numero, impararono a coltivare i prodotti che venivano dall’Europa, e ad allevare animali.
L’attività creola si adoperò perchè a Città del Messico fosse costruita l’università (che fù la prima università americana) e stimolarono la produzione letteraria.
Intanto l’autorità della chiesa garantiva la stabilità coloniale, anche per la totale mancanza di un’esercito regolare.