Pancho Villa

Pancho Villa;  il vero nome era Doroteo Arango Arámbula, nasce a Durango il 5 giugno 1878 muore (assassinato) a Parral (Chihuahua) il 20 luglio 1923, è stato un rivoluzionario e guerrigliero messicano, eroe della rivoluzione messicana (1910 / 1911).

Pancho Villa

Francisco Pancho Villa è nato vicino a Durango, nel ranchla Coyoitoda di San Juan del Rìo di proprietà di Lopez Negrete, da una coppia di mezzadri, Augustin Arango e Micaela Arámbula. Condottiero del popolo che appoggiava Francisco Madero nella rivolta dei cosiddetti peones contro il regime dittatoriale di Porfirio Diaz disse di sé in una autobiografia e nelle interviste a Jack London e al reporter John Reed (testimone della Rivoluzione d’ottobre): “La mia vita è stata una tragedia”.Molte biografie e film hanno messo in luce i numerosi aspetti della sua personalità, descrivendolo come un’idealista, umano al di lá della sua dimensione eroica e sinceramente interessato al miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più deboli.

La sua leggenda iniziò a fiorire nel 1894, quando era ancora sedicenne.

Subito dopo la morte del padre si era trasferito nell’hacienda di Gogojito e una sera, tornando a casa sorprese la madre in una accesa discussione con il proprietario del ranch che aveva tentato di molestare la sorella maggiore del giovane Francisco.

Questi reagì sparando al ranchero, ferendolo leggermente. Questo avvenimento segnò per Francisco l’inizio di un lungo periodo di latitanza.

Simpatizzando con i peones con i quali aveva in comune un odio profondo verso i ricchi possidenti terrieri, da quel momento la sua esistenza fu caratterizzata da scorrerie ai danni di allevatori, cui sottraeva capi di bestiame, e di rapine a ricchi minatori.

Braccato sui monti della Sierra (dove diventerà Francisco Pancho Villa) fu più volte catturato riuscendo sempre a farsi rilasciare grazie all’interessamento di influenti amicizie; di lì a poco si sarebbe arruolato, con mansioni di ufficiale, nelle truppe degli eserciti irregolari di Francisco Indalecio Madero e Alvaro Obregon.

Forse, per lui, era una ideale continuazione della lotta di sempre contro gli odiati possidenti.

Nel 1910, con una nuova identità e una coscienza immacolata era quindi pronto a scendere dalle montagne per partecipare attivamente a quella che sarebbe stata chiamata la rivoluzione messicana.

Venuto in contatto con Abraham Gonzales, fido di Madero, Villa decise così di unirsi alla causa della rivoluzione messicana.

Nello Stato di Chihuahua, proprio al confine con il Texas ed il Nuovo Messico, Villa e i suoi Dorados (truppe a cavallo a lui fedeli) agivano divisi in piccoli gruppi con azioni di sorpresa; la strategia seguita era quella degli indiani Apache e Comanche contro cui si erano battuti i coloni messicani di una generazione prima.

Negli anni successivi, con Madero al governo, Pancho Villa servì nell’esercito sotto il generale Victoriano Huerta che lo condannò a morte per insubordinazione; non gli restò che espatriare negli Stati Uniti, salvo tornare dopo il rovesciamento di Madero e il suo conseguente assassinio in un’imboscata da parte di Huerta nel 1913.

Villa fiancheggiò poi, nella guerra civile del 1913-1914 tesa ad abbattere il nuovo despota Huerta, il leader del movimento progressista Venustiano Carranza, dal quale si distaccò tuttavia quando questi divenne presidente, ritenendolo troppo moderato.

Ad ogni buon conto, Villa riuscì ad assicurarsi il controllo dello Stato di Chihuahua dove, con l’aiuto di Emiliano Zapata, fomentò la rivolta contadina non esitando a oltrepassare, in risposta al sostegno fornito dal governo statunitense al presidente Carranza, la frontiera americana.

Per oltre un anno venne invano inseguito oltre il confine dalle truppe inviate dal presidente Woodrow Wilson.

Il 9 marzo 1916 Villa condusse millecinquecento guerriglieri messicani in un attacco contro la città di Columbus, nel Nuovo Messico, dove era presente una guarnigione di seicento soldati americani.

L’abitato fu messo a ferro e fuoco ed anche un albergo venne fatto esplodere; la conseguenza fu la morte di diciassette persone.

Il presidente Wilson rispose a questo gesto dimostrativo con una spedizione punitiva: pose una taglia di 5.000 dollari sulla testa di Villa e inviò settemila soldati guidati dal generale John “Blackjack” Pershing e dal suo braccio destro, George Patton, personalità che si sarebbero entrambe distinte nel I conflitto mondiale, sui monti sopra Chihuahua per dargli la caccia.

In quella occasione le truppe statunitensi impiegarono i mezzi più moderni per quell’epoca, come camion, motocarri, motociclette e blindati; fu impiegato persino un dirigibile pilotato personalmente dal generale Pershing.

Senza contare l’impiego, per la prima volta nel continente americano, di aerei da combattimento (otto, riportano le cronache dell’epoca).

Tutto fu vano: il tentativo di catturare Villa e i suoi uomini si protrasse, appunto senza esito, fino alla fine di gennaio dell’anno successivo.

Le imprese da rivoluzionario di Pancho Villa termineranno nel 1920, con l’assassinio di Carranza e l’ascesa alla presidenza di Alvaro Obregon.

Pancho depose le armi ritirandosi nella “hacienda” di Canutillo a lui assegnata dove si dedicò ad una vita da proprietario terriero.

Tre anni più tardi morirà assassinato (come coloro per cui aveva combattuto, Madero, Zapata, Carranza e Obregon) nella cittadina di Parral, proprio dove si sentiva più al sicuro, nello Stato di Chihuahua.

Villa depose le armi ritirandosi nella hacienda di Canutillo a lui assegnata, dove si dedicò a una vita da proprietario terriero.

Lasciava raramente la fattoria, normalmente in compagnia di una scorta di una decina di uomini armati.

Il 10 di luglio del 1923, accompagnato da due soli uomini di scorta, si recò in auto nella vicina Parral, nello Stato di Chihuahua, dove avrebbe dovuto fare da padrino al battesimo del figlio di un suo uomo.

A Parral Villa aveva un’amante, Manuela Casas, con la quale decise d’intrattenersi dopo il battesimo, per ripartire verso Canutillo il 20 luglio.

Mentre, alla guida dell’auto, stava uscendo da Parral, al grido di «Viva Villa» lanciato da una vedetta, un gruppo di uomini armati incominciò a sparare dalle finestre sull’auto di Villa, uccidendolo.

Con lui morirono altri tre passeggeri (compreso il suo segretario personale), mentre un quarto uomo di scorta riuscì a salvarsi.

Gli assassini non furono mai identificati, anche se la perfetta organizzazione dell’imboscata e le vicende successive (ad assumersi la responsabilità dell’omicidio fu Jesús Salas Barraza, un militare che, con il suo complice Melitón Lozoya, fu condannato a 20 anni, ma pochi mesi dopo rimesso in libertà) lasciano intendere che l’omicidio fosse il frutto di un ampio complotto ordito ad alti livelli.

Si pensa che l’attentato possa essere stato organizzato da Álvaro Obregón per impedire che Villa corresse alle elezioni presidenziali del 1924 e magari potesse sconfiggere il suo prediletto alla successione, Plutarco Elías Calles, a causa della sua ingombrante popolarità.

Villa infatti aveva annunciato il suo ritorno in politica, candidandosi appunto alle elezioni presidenziali.

Emiliano Zapata


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