Hernán Cortés

Hernán Cortés Monroy Pizarro Altamirano è stato un militare, condottiero e nobile spagnolo. Figlio di Martín de Monroy, che gli antepose il cognome materno Cortés per ragioni successorie, abbatté l’Impero azteco e lo sottomise al regno di Spagna.

Hernán Cortés

Cortés nacque a Medellín, nella provincia dell’Estremadura, nel regno di Castiglia, in Spagna, probabilmente nel 1485, anche se alcune fonti sostengono che sia avvenuta nel 1483 o 1484. Egli discendeva da famiglie di antica nobiltà, sia paterna che materna.

La leggenda vuole che fosse una famiglia povera, ma questo è contestato, poiché la famiglia probabilmente ricopriva incarichi redditizi.

Suo padre, Martin Cortés de Monroy, era un hidalgo. Ricoprì diverse cariche ufficiali, tra cui quella di procuratore generale, il che fa pensare che abbia detenuto un considerevole patrimonio personale. I Monroy erano una famiglia di vecchi cristiani della Cantabria, nel nord della Spagna.

Essi parteciparono alla Reconquista dell’Estremadura e detenevano possedimenti nel loro feudo di Belvís e a Salamanca.

Diversi antenati di Cortés sono famosi per le loro imprese d’armi. Il nonno di Cortés, Alfonso de Monroy, è gran maestro dell’Ordine di Alcántara, uno dei potenti ordini cavallereschi spagnoli.

La madre di Cortés era Catalina Pizarro Altamirano. Il padre di costei, Diego Alonso Altamirano, giurista, ricoprì diversi incarichi ufficiali, tra cui quello di sindaco di Medellín.

Sua madre proveniva dalla nobile famiglia dei Pizarro, grazie alla quale Hernán fu cugino di secondo grado di Francisco Pizarro. Le famiglie Pizarro e Altamirano sono le due famiglie più potenti di Medellín.

La prima regione del Messico su cui gli spagnoli sbarcarono, nel 1518, fu lo Yucatán, dove vennero a contatto con la popolazione dei Maya, da cui appresero dell’esistenza dell’impero azteco.

Desideroso di saperne di più, il governatore di Cuba Diego Velázquez de Cuéllar promosse una spedizione verso l’interno e affidò il compito ad Hernán Cortés, che partì da Cuba alla volta del Messico il 18 febbraio 1519, con 11 navi, 100 marinai e 508 soldati, dotati di cavalli, animali allora sconosciuti in America, cani da combattimento e armi da fuoco.

Egli aveva iniziato la sua spedizione come ribelle: infatti, per via di tensioni interne, Velázquez ne aveva firmato la destituzione dall’incarico di suo segretario, e quindi l’annullamento della spedizione per il Messico, ma in contemporanea Cortés partì con i suoi uomini verso il Centro America.

Dopo i primi sentori di dissidi, Cortés diede ordine di smontare i brigantini, conservando solo vele e gomene: in questo modo intendeva assicurarsi da possibili diserzioni.

Il successo della sua impresa fu reso possibile da una serie di circostanze favorevoli: il sistema primitivo di dominio degli aztechi sulle popolazioni sottomesse e, non secondariamente, il fatto che i nativi non fossero mai stati a contatto con le numerose malattie infettive che i conquistadores portarono con sé dall’Europa, come vaiolo, febbre tifoide, scarlattina, con la conseguenza che il loro sistema immunitario non fu in grado di farvi fronte.

Sbarcati sulla costa messicana, presso l’odierna Veracruz il 22 aprile, furono accolti più o meno favorevolmente dalle popolazioni; persino il potentissimo azteco Montezuma II mandò quasi subito ambasciate.

In base a segni interpretati come premonitori ed agli stessi miti di fondazione, gli spagnoli furono inizialmente interpretati come emissari di Quetzalcoatl, una delle principali divinità azteche.

Hernán Cortés dimostrò anche in questa occasione le sue abilità, le sue doti politiche e di stratega, che gli assicurarono la conquista dell’impero.

L’indecisione di Montezuma nell’affrontare l’imprevisto e la sua paralisi pragmatica si sommarono al risentimento che covava nei suoi confronti in alcune popolazioni locali, mai sottomesse pienamente.

Scoperti i dissensi tra i popoli sottomessi agli Aztechi vi strinse presto alleanze. Da alcune popolazioni con cui venne in contatto Cortés, l’impero Azteco esigeva tributi in termini di tassazione e di vittime sacrificali. Cortés ebbe buon gioco nel proporsi come riparatore di torti in missione per conto dell’imperatore Carlo V e del Cattolicesimo.

La flessibilità spagnola così come la rigidità azteca si manifestarono in battaglia: gli aztechi seguivano un rituale tradizionale in guerra facilitando con prevedibilità il lavoro dei conquistadores.

In realtà gli aztechi cercavano di catturare vivi gli spagnoli al fine di sacrificarli agli dei.

Per questo motivo essi attaccavano gli spagnoli uno per volta in quanto per un azteco prendere un prigioniero vivo al fine di sacrificarlo era un grande onore.

Gli spagnoli invece combattevano all’europea, fendendo la spada su chiunque si trovasse loro innanzi cagionando perciò moltissimi morti.

Così, quando l’8 novembre Cortés entrò a Tenochtitlán accolto con tutti gli onori da Montezuma, aveva già con sé un esercito di circa 3 000 indios.

Gli Spagnoli dopo qualche giorno di permanenza si accorsero che la situazione stava volgendo al peggio: gli Aztechi si stavano preparando ad ucciderli tutti. Vennero anche a scoprire che una falange azteca aveva attaccato Veracruz, uccidendo molti spagnoli.

A questo punto, dopo aver pregato tutta la notte, decisero che l’unica strada per salvarsi fosse quella di arrestare Montezuma.

Questi, per impedire una sollevazione popolare, disse ai suoi sudditi che si sarebbe recato volontariamente nella casa in cui alloggiavano gli spagnoli, che era di suo padre.

L’imperatore strinse un rapporto abbastanza cordiale con Cortés, gli obbedì docilmente e accettò di far cessare i sacrifici umani.

Hernán Cortés lo lasciò libero di governare l’impero cercando di convertirlo al cattolicesimo.

[Fonte wikipedia.org]


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